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farfalla

venerdì 14 febbraio 2014

Una farfalla che voleva diventare una farfalla

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Il suo piccolo presuntuoso spazio dorato era cresciuto muovendosi libero, sciolto dai vecchi cordami. Fuori dalla incultura, sempre in cerca di nuovi stimoli e nuove ambizioni, verso il bene e mai il male, oltre i dogmi imposti alla umana ragione.
E li dentro aveva dato tutto, tutto quello che c'era di candido da dare, nonostante lei fosse soltanto un'anima violata, ma  nemmeno per un momento aveva pensato di abbandonare il suo nuovo cammino.
Era stata ferrea nella sua avanzata, forse troppo, ma mai, mai più tra quelle strade infangate di terra marcia
Lei che non aveva che tetri ricordi d'infanzia.
Eppure in quel suo piccolo presuntuoso, spazio dorato aveva imparato e insegnato le virtù dell'onestà e dell'unità, consolidatesi negli anni tra le righe di milioni di parole scritte nei libri che riempivano di sogni la sua fantasia, E si era illusa, aveva creduto che così si dovesse fare per donare amore ed essere ricambiati.
Aveva dimenticato il male per non infettare, affinchè non dovessero soffrire nè mai dipendere, mai da nessuno, nemmeno da lei.
Una scelta che era maturata nell'impeto di una corsa anticipata, ma in fondo naturale, tra cornici di sorrisi, il bello e il brutto, in quell'accogliente stare sempre vicini eppure distinti.
Lei non programmava, lei si fidava, lei aveva creduto che quell'amore era abbastanza e che quel suo piccolo presuntuoso spazio dorato, nato dall'ignoranza, un giorno sarebbe diventato uno spiraglio di luce. Così aveva osato spinta dall'entusiasmo, aveva fatto il passo più lungo della gamba ed era caduta, vittima dei suoi stessi intenti troppo rigidi colmi di ignoranza e tanto ego. Ma poi si era rialzata, ci aveva riprovato e si era involata, si era librata in un sogno irresistibile, sospeso in quei tre cuori battenti figli della sua carne, delle sue mani dei suoi baci a volte non dati, ma che avrebbe voluto, si quanto avrebbe voluto, ma non c'era riuscita, la sua stessa natura vissuta era una terra arida.
E allora pace!
Ma non pace, non abbracci, non sorrisi, non si mamma, va bene mamma, ti voglio bene mamma, vieni con me mamma, non te ne andare mamma. Aveva dovuto fare i conti con l'estraneo, la vanità, con l’egoismo, l’assenza di coscienza, il dovere e non il legame.
Ora lo sa, era stato tutto sempre latente intorno a sè, il sacro il vile, la burla del perdono, un male del mondo che affiora e lambisce il bene, fino ad affondarlo.
Era sempre stato lì si celava già dai primordi, c'era ed era sempre stato vigile e attento.
Era il seme della spietatezza ed ora era pronto a germogliare, a contagiare il passato e il presente del suo buio civile.
Adesso non c’è più, non ci sarà più quella nuova brezza, essa è morta per lei, disfatta dalle labbra aride, crudeli di quel piccolo, presuntuoso spazio dorato,
e allora amen...







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